Dal mio balcone su Napoli e da quella finestra sul mondo che è il mio smartphone ho assistito oggi – lunedì 18 maggio – al ritorno alla normalità di ogni cosa. L’alzata delle saracinesche è stata carica di un entusiasmo euforico misto a incertezza forse adolescenziale, ma sicuramente commovente. Il ritorno dei traffici e dei barbieri ci ha riportati per un attimo alla nostra vita di prima. E persino le moke, quelle un po’ più grandi, sono tornate a fare caffè per gli amici. Questa mattina non abbiamo scoperto se siamo diventati migliori o peggiori (questa poi è una scoperta di cui ognuno di noi farà esperienza quando deciderà cosa farsene, delle recenti prese di consapevolezza), ma abbiamo certamente scoperto che siamo diversi. Perché credere che la nostra vita, quella che conoscevamo bene – e che ci stava stretta, soprattutto di lunedì mattina – sia ricominciata dal punto esatto in cui si sia fermata due mesi fa o poco più, o anche solo credere che la vita si sia fermata, sarebbe un errore di valutazione grossolano sul presente nonché un approccio troppo pigro all’immediato futuro. Non ci siamo mai fermati, anzi: non siamo mai così cambiati come in questi ultimi due mesi, anche soltanto nella nostra concezione di normalità. E quando anche il più ordinario lunedì tornerà, alcuni di noi non solo lo ameranno, ma si accorgeranno di averlo sempre amato.