27 novembre 2018
Quando entrai per la prima volta nell’Università, credevo di essere diventata grande.
In realtà, ero giovane in tutti i modi in cui una persona possa esserlo. Ora che sto per uscirvi, mi sento – se possibile – ancora più piccola e so che questa sensazione non mi abbandonerà mai finché ci saranno altri libri da leggere, altri autori da scoprire, altre pagine da tradurre.
Oggi uscirò da una porta più grande rispetto a quella da cui sono entrata quel giorno e non perché essa sia cambiata nel tempo ma perché è la mia stessa visione del mondo ad essersi allargata in questi anni: ogni volta in cui ho imparato ciò che non sapevo ma soprattutto ogni volta che mi sono trovata a disimparare ciò che sapevo.
Sì, credo sia stata questa la cosa più importante che mi ha insegnato la filologia: a mettere sempre tutto in discussione, a soffermarmi a riflettere, a confrontare, a valutare, a scegliere, a elaborare un pensiero critico su nuove e mai definitive basi. Ed è questo che, a dispetto di tutte le nozioni che ho assimilato e forse un po’ dimenticato, mi porterò dietro quando mi ritroverò a varcare nuove porte.
Grazie a coloro che ho avuto l’onore di chiamare maestri. Per avermi spalancato finestre su mondi che non credevo neanche esistessero e per avermi fatto incontrare, attraverso le parole, donne e uomini del passato che – ne sono certa – avevano qualcosa di molto importante da dirmi.
Grazie ai miei compagni di viaggio. Persone che conoscere è stato un privilegio: anime affini eppure diverse, provenienti dai più vari luoghi e percorsi di vita per ritrovarsi esattamente qui, come me. Grazie per il vostro tempo più pieno e anche per quello vuoto, per la vostra passione, per la vostra comprensione.
Grazie alle mie amiche del cuore. Di quelle che il vento può cambiare ma in quello stesso vento loro restano come àncore.
Grazie, infine, alla mia famiglia: una casa che mi avvolge, anche quando non sono a casa.
Foto di Valeria Tedesco