«Immaginate di poter portare con voi solo un bagaglio a mano per il resto della vostra vita, cosa ci mettereste dentro?»
A porre questa domanda non è la mia coscienza prima di partire per un lungo viaggio, ma un grosso libro che mi trovo davanti. All’interno di questo grosso libro c’è una serie di fotografie, in bianco e nero, quasi fosse un album dei ricordi. Di quelli che ci piace riaprire a distanza di anni per controllare che sì, una parte di noi è ancora lì dove un giorno l’abbiamo lasciata.
La prima cosa che salta all’occhio, sfogliando questo grosso libro, è che in tutte le foto c’è sempre la stessa donna, dai lineamenti orientali e dallo sguardo curioso. La seconda è che non è sempre facile individuare la sua figura, all’interno dell’inquadratura: in alcune foto è in primo piano, in altre è di schiena, in alcune è soltanto un’ ombra. La terza, fondamentale, cosa degna di nota è che la donna orientale non è mai sola: ogni scatto la ritrae in un contesto nuovo e insieme ad una persona diversa.
Eppure, ciò che emerge dalla lettura del grosso libro, è un forte senso di appartenenza. Appartenenza che non è il contrario di libertà e soprattutto non è il contrario di differenza ma che anzi di libertà e di differenza si nutre per diventare arte.
Chiudo il grosso libro, ordino un cappuccino. «Un altro»: a parlare, accanto a me, è lei, la donna orientale.
Ma ormai la conosco: è Kristin Man, fotografa, originaria di Hong Kong ma abitante del mondo. La incontro un mercoledì mattina, al Chiaja Cafè di Napoli, dove Chiara ha organizzato la più originale e intima delle conferenze stampa: una colazione con l’artista. L’occasione è data dalla presentazione di “9_9”, quel grosso libro che ho tra le mani e che sarebbe riduttivo chiamare catalogo: si tratta di una raccolta di autoscatti, in cui Kristin Man ha ritratto se stessa insieme ai più grandi artisti d’Italia (circa 150), nelle rispettive botteghe d’arte.
L’autoscatto – racconta Kristin – implica un rapporto. E un rapporto implica integrazione in una comunità, fosse anche quella formata da coloro che “vogliono essere artisti nella vita”. Per incontrare ognuno di loro, Kristin Man, ha viaggiato per 3 anni per il Bel Paese, ha bussato alle loro porte, ha conosciuto la loro storia – a volte la loro famiglia – e ammirato il loro operato, imparando, di volta in volta, l’arte dell’adattarsi (ossia che entrare nello spazio dell’altro vuol dire modificarlo ma allo stesso tempo modificarsi). Ha infine chiesto loro di posare insieme a lei in un ritratto, che fosse testimonianza imperitura di un modo di vita individuato come unico e irripetibile.
Il risultato finale – ma per definizione non finito – l’ha chiamato 9_9, perché il compleanno cinese di Kristin Man ricorre il 9° giorno del 9° mese, perché 99 non è 100 – secondo quel concetto di “perfezione imperfetta” che orienta la sua ricerca – e perché i due 9 le ricordano lo yin e lo yang. In questa combinazione di significati si coglie l’equilibrio di Kristin Man, che ama pensare a se stessa come a una farfalla nera: sempre in movimento eppure capace di sentirsi a casa ovunque ci sia umanità.
Ma cosa mette nel bagaglio a mano, quella farfalla nera di nome Kristin Man?
Guardo il grosso libro che ho ancora davanti e la risposta è immediata.
Ciò che, più di ogni altra cosa al mondo, le permette di volare: la sua macchina fotografica.
9_9
mostra fotografica di Kristin Man
a cura di Chiara Reale
al Pan dal 3 al 21 maggio 2018