(Che non è uno stato di Whatsapp – anche se certe conversazioni sono così lunghe e belle che sono storie – ma uno stato dell’anima).
Sto scrivendo nei numerosi mondi in cui mi divido pur restando sempre una – in un’aula studio prima della lezione, nell’Atelier in pausa pranzo e nelle bozze del cellulare in metropolitana – e nei diversi modi che conosco e che mi hanno tirata su negli anni. Sto scrivendo qualcosa di liberatorio e divertente, e credo che questi siano già due buoni motivi per farlo. Scrivo perché, da quando ho imparato a farlo, scrivere è un bisogno primario e cioè – parafrasando la mia scrittrice del cuore – è un rimedio all’esistenza. Perché quando scrivo non scendo a compromessi con il mondo e soprattutto con me stessa. Perché la punteggiatura mi capisce come un’amica. E perché ho letto (qui) – col cuore che mi batteva – che con la scrittura “si può dire tutto, ma bisogna imporsi l’accurato sforzo di trovare le parole giuste, quelle che sanno come far tornare le albe, come convincerle a riavverarsi di giorno in giorno”.
Sto scrivendo perché credo fermamente che – oltre al caffè del lunedì mattina – l’ispirazione mi salverà nella misura in cui ci salva tutto quello che ci fa sentire vivi e noi stessi e bene, qualunque cosa esso sia.