Sabato sera, della serie:
«Dove la porto signorina?»
«Ai Caraibi.»
Ok: ammetto che non c’era Leo ad aspettarmi sotto al palazzo ma una macchina piena di amici (e scusate se è poco).
Ed ammetto che non è stato necessario attraversare l’oceano per toccare terra ma un casello autostradale uscita Pozzuoli.
Però ai Caraibi, per una sera, ci sono stata davvero.
A dimostrare che anche quei viaggi programmati in tempo reale su Whatsapp sanno portarti lontano. O almeno abbastanza lontano affinché i pensieri – quelli brutti – non ti trovino a casa e se ne tornino da dove sono venuti.
E lì, in quel piccola piccola isola lontana e felice che è il Caraibi, ho ballato: come se nessuno mi stesse guardando o esattamente come se tutti mi stessero guardando – non saprei dire.
Ho cantato inventando le parole. Ho improvvisato una samba durante una breve escursione in Brasile con tanto di brasiliane.
Ho stretto e sono stata stretta.
Ho perso: una canzone, il ritmo, l’orientamento, la cognizione del tempo e qualche chiamata sul telefono.
Ma lì, sull’isola, ho anche trovato qualcosa: la certezza di non esserlo io, isola.