Aspettiamo: i compleanni, i natali, i funerali. Non importa quanto, noi aspettiamo: che sia il momento giusto. Che ci sia un motivo. E che sia valido, o almeno abbastanza a darci il permesso e il beneplacito e la benedizione divina. Abbiamo coscienza del tempo che passa, ma noi preferiamo aspettare: di trovare un alibi. Una scusa quantomeno plausibile, ai nostri occhi come a quelli del mondo intero. Un orario decente.
Aspettiamo intere vite, per abbracciare. Per comprare fiori. O soltanto per dire: Ti voglio bene. Faccio il tifo per te.
Senza sporgerci quel tanto in più che basta a farci perdere l’equilibrio e il controllo. Senza sembrare stupidi.
Come se l’amore fosse intelligente. Come se avesse bisogno di scuse e alibi e autorizzazioni in carta bollata. Come se aspettasse il compleanno o il natale o il funerale per esplodere.
Come se un lunedì, 23 marzo – per esempio – non fosse abbastanza.
Oggi ho smesso di aspettare: ho abbracciato, comprato fiori e detto ti voglio bene.
Mi sono sentita stupida. Esposta. Vulnerabile.
Ma mai così felice di esserlo.