Siamo abituati a definire ogni cosa. A classificare e mettere etichette e attribuire nomi come se quei nomi avessero in sé il potere di delineare i contorni più o meno incerti delle nostre esistenze. Come se, nell’atto stesso di definire ciò che siamo, ne prendessimo – prepotentemente e presuntuosamente – il controllo.
Ma se, per un attimo, quel controllo decidessimo di perderlo?
E se, per un attimo, smettessimo di domandarci cosa e dove siamo e ci basti sapere che ci siamo e che siamo qui?
Senza il bisogno di aggiungere altro.
E senza l’ardire di attribuire una qualche plausibile spiegazione alla felicità: consci che la felicità, di spiegazioni, non ne chiede. Mai.
E che – a differenza di noi, che iniziamo a farci domande ancora prima del primo caffè della giornata – non si chiede neanche se e quanto durerà.
A lei basta semplicemente esserci: qui ed ora.
(Io voglio essere per te: felicità.)